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PARTE DUE – Numero zero; la storia della mia startup.

Nicola, un amico che era con noi quel giorno emerge dal sedile posteriore della mia auto si infila sul piantono centrale mi guarda e mi dice: “Wesc” (mio soprannome tra amici) “So io chi chiamare! C’è il ragazzo che sistema la stampante a mia mamma che era sul giornale [...]

L’incontro con Paolo.

Non ricordo precisamente il giorno, so che era Gennaio del 2019, e che da qualche mese iniziavo a vedere i frutti dell’allenamento. Avevo smesso di andare a braccio e avevo iniziato ad adottare come mantra personale “Se nun te lo fanno fattelo”.

Ero in Bre.Be.Mi e stavo guidando (ancora una volta sotto la pioggia) per rientrare a casa dopo una giornata spesa inutilmente a parlare con alcuni studenti di ingegneria informatica dell’università di Brescia. Avevo il morale sotto le scarpe perché ancora una volta, non avevo cavato un ragno dal buco. Anche loro volevano essere assunti e pagati regolarmente.

Mi ricordo perfettamente che mentre mi sto sfogando con mio fratello, Nicola, un amico che era con noi quel giorno emerge dal sedile posteriore della mia auto si infila sul piantone centrale mi guarda e mi dice: “Wesc” (mio soprannome tra amici) “So io chi chiamare! C’è il ragazzo che sistema la stampante a mia mamma che era sul giornale perché ha hackerato la NASA.” (Non scherzo, è andata davvero in questo modo).

Se state provando a immaginare la mia reazione vi basta pensare che è stata una delle poche volte in cui la mia voce ha parlato lo stesso dialetto di quella interiore ed ha esclamato un sonoro “ma vattela a pija ‘nder …” per poi passare immediatamente a un bergamaschissimo “tirem mia per öl cl”* che tradotto elegamentemente diventa “non mi prendere per i fondelli” – “ma secondo te io credo che un ragazzino delle superiori che sistema le stampanti si mette ad hackerare la NASA e può programmare una roba per cui mi stanno dicendo da anni che servono ingengeri, soldi, infrastrutture, server, bla, bla bla …” e continuo la mia lamentela per qualche istante.

Raffaele (mio fratello) è accanto a me e ascolta finché, probabilmente stufo marcio di starmi a sentire mi interrompe e mi dice “senti simo, che cazzo ci perdi? Facci due parole e amen, male che vada amici come prima”.

Mi convinco a una sola condizione: non voglio aspettare oltre; avremmo raggiunto casa in poco meno di trenta minuti e pretendo che l’incontro con Paolo venga fissato entro e non oltre quella mezz’ora. Nicola fa la chiamata e segno del destino Paolo accetta di vederci subito. Trenta minuti dopo mi trovo nell’ufficio dei genitori di Nicola, seduto a gambe incrociate sulla scrivania all’ingresso c’è un ragazzino di 19 anni che mi guarda e mi chiede “allora? per cosa mi avete fatto venire?”

Prima impressione: pessima. Penso dentro di me “anvedi questi, me fanno spreca tempo a parlà coi pischelli” “Ha hackerato la NASA, sè vabbè credici” “basta, me so proprio rotto de fa sta cosa” “mo glie spiego due cose ma per rispetto ma me ne vojo anda prima possibile”

Passano dieci minuti al massimo mentre gli spiego quello che voglio fare nel modo più sintetico possibile cercando pure di esagerare il tutto come se dovessi metterlo alla prova. Finisco e questo ragazzino mi guarda e dice: “Va bene, ci lavoro e poi in settimana ci vediamo e ne parliamo”. Ero talmente esausto e demotivato che questa risposta non mi ha minimamente toccato, ho pensato semplicemente di aver incontrato l’ennesima sola e me ne sono andato un po’ rassegnato.

Passano tre giorni e ricevo un messaggio su whatsapp “Ciao, ho finito di lavorare sul database. Quando ci possiamo vedere per parlarne?” era Paolo che aveva scritto in tre giorni la struttura base del database che usiamo ancora oggi. Inutile dire che le sfide vere sono iniziate successivamente, entrambi da allora siamo cresciuti tantissimo sia come persone che come professionisti ma la cosa che davvero conta è che quel giorno è nata un’amicizia fantastica che tutt’ora ho la fortuna di vivere quotidianamente.

Da questa esperienza ho imparato che la vita è piena di opportunità, ma quello che conta è saperle vedere, coglierle al volo e non farsi sfuggire l’occasione. Nonostante i limiti, le incertezze e le difficoltà, è importante non arrendersi mai e perseguire sempre i propri obiettivi. Nella terza e ultima parte di questa mini serie in cui racconto le esperienze più significative che ho vissuto approfondisco questo argomento e racconto perché rifiutare una proposta di 1 milione di euro è stata un’enorme opportunità di crescita. Per non perderti la terza parte della storia ricordati di iscriverti alla nostra news letter. Se ti è piaciuta questa storia aiutaci a fare rumore, condividi questo articolo ovunque puoi.

Alla prossima, Simone.

Simone Vescovi

Simone Vescovi

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